Berlusconi alle Camere Più che delusi c'è ragione di essere davvero preoccupati di Riccardo Gallo Negli ultimi quattro anni abbiamo suggerito al presidente del Consiglio di far lavorare il governo per accrescere la competitività del sistema economico e produttivo del nostro Paese e per recepire i valori liberaldemocratici nel campo della politica estera, in quello dei diritti civili, nel progresso scientifico e tecnologico, in economia. Glielo abbiamo detto con estrema chiarezza ed amicizia nella conferenza de “La Voce Repubblicana” a Milano nel 2007, quando in particolare gli chiedemmo di condividere il sostegno alla ricerca come potente motore del progresso e gli chiedemmo l’abolizione delle province. Da ultimo glielo abbiamo ripetuto a Palazzo Grazioli a settembre 2010, quando era ancora fresca l’eco delle sollecitazioni da parte dei massimi organismi internazionali, a partire dal Fmi, secondo cui la nostra economia cresce troppo poco perché la competitività è insufficiente. Allora gli proponemmo di dar vita a un “progetto competitività”. Glielo abbiamo ancora ripetuto con le tesi liberaldemocratiche al nostro congresso quest’anno. Poi a metà luglio abbiamo approvato la manovra economica, perché abbiamo riconosciuto che i conti devono essere in ordine per poter puntare su una migliore crescita. Ma nella dichiarazione di voto il segretario Nucara ha sollecitato il governo a recepire il nostro progetto liberaldemocratico. La nuova impostazione politica statunitense e l’attacco della speculazione finanziaria degli ultimi giorni hanno cambiato lo scenario. Il nostro Paese non può permettersi più di restare estraneo a una visione liberale, competitiva e concorrenziale dei sistemi economici e sociali mondiali. Infatti, per fronteggiare la (molto) più onerosa gestione del debito pubblico, viene drammaticamente meno la disponibilità di risorse per nuovi interventi pubblici, sia dal lato degli investimenti dello Stato centrale, delle Regioni, degli enti locali, sia dal lato delle politiche fiscali per un sostegno alla domanda e quindi indirettamente alla crescita, sia dal lato più semplicemente di sopportazione finanziaria di ulteriori deficit di bilancio di parte corrente. La situazione si aggraverà per il semplice fatto che ci sarà una contrazione del commercio mondiale e un minor apporto all’economia italiana da parte delle imprese manifatturiere che negli anni scorsi si erano lodevolmente ristrutturate. Se l’anno scorso l’insufficiente competitività del nostro sistema produttivo era un problema enorme per la crescita economica, oggi che la crescita si prospetta ancora più difficile, il non aver affrontato per tempo la questione della competitività appare una atto di grave superficialità e irresponsabilità. Lo diciamo con forte rammarico, non verso il governo, con cui siamo legati da rapporti di lealtà, ma verso il Paese che ne è vittima. Poiché non ci sono più margini per soluzioni mediate, se ne esce solo se ci si trova liberi e d’accordo a rimettere tutto in discussione, sia quanto alle politiche finanziarie per investimenti pubblici sia quanto alle strategie più generali. Liberi e d’accordo a rimettere tutto in discussione non significa chiedere le dimissioni del governo; al contrario significa chiedere al governo di intraprendere nei modi e nell’entità, da ripensare profondamente, un’azione finora troppo colpevolmente tralasciata. Per questa ragione, non per altre, il discorso di ieri in Parlamento del presidente del Consiglio non ci ha deluso, ci ha preoccupato. |